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La vita straordinaria di David Copperfield, la recensione del film in anteprima

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Si leva il sipario, lo scrittore entra in scena, il clamore della folla cessa. Tutto tace. Se sarà o meno l’eroe del suo racconto – comincia – saranno le sue parole a svelarlo. Non è Charles Dickens, ma il suo alter ego letterario, David Copperfield.

Ed ecco che la scena vola d’un tratto a quel cottage che il padre aveva battezzato Blunderstone Rookery (letteralmente “nido di cornacchie”), perchè gli piaceva pensare che quei nidi abbandonati raccontassero la storia d’una vecchia colonia di cornacchie. È così che il David adulto, protagonista sul palcoscenico, si fa in un istante spettatore silenzioso di un passato talmente vicino da tormentarlo ancora, ma talmente lontano da sembrare non appartenergli più. La mamma Clara (Morfydd Clarke, che gli appassionati di Dickens riconosceranno come Catherine Dickens ne L’uomo che inventò il Natale) chiama a squarciagola la sua fidata Pegotty ed ecco che all’improvviso quel naso si preme contro la finestra: difficile immaginare qualcuno che più di Tilda Swinton possa rendere maggiore giustizia al ritratto meravigliosamente dickensiano di Betsey Trotwood.

La magia della scena che ci trasporta a quel fatidico venerdì notte a Blunderstone è da leggersi nelle sfumature e nei dettagli: Iannucci emoziona i più attenti col disegno della cattedrale di Saint Paul sulla scatola di Pegotty, o con i racconti del libro sui coccodrilli, immagini che ritornano e si amplificano nel corso della storia come un sottotesto che intreccia inesorabilmente passato e futuro (da qui la simbologia che ritroviamo anche nel poster del film).

Un passato però, che sfuma fin troppo presto. Le agonie dell’infanzia trovano posto a malapena in poche, rapide sequenze che spediscono il piccolo David (Jairaj Varsani) direttamente nello squallore della fabbrica di Murdstone e Grinby — parallelo della fabbrica di lucido da scarpe Warren che cambiò per sempre la vita di Dickens — per dare al pubblico quello che vuole: Dev Patel. L’obiettiva necessità di comprimere il racconto porta a eliminare e ridistribuire elementi della storia, con la conseguenza però di non rendere piena giustizia alle sofferenze di David e a quei traumi incancellabili che lo perseguiteranno a vita. Nel momento preciso della transizione tra David giovane e David adulto, la chiave strettamente comica dell’adattamento inizia a lasciare indietro con prepotenza il sottotesto drammatico, non fornendo allo spettatore elementi sufficienti per cogliere tutte le sfumature dark tipiche dello humor dickensiano.

Photo credit: Lionsgate UK

A sfuggire alla storia, per esempio, il periodo della scuola a Salem House, quello in cui David si perde tra le storie dei grandi classici, in cui cominciano i suoi sforzi per essere accolto e accettato dal mondo e la sua ingenuità di bambino risveglia nel narratore i sentimenti più contrastanti. Una recisione che sarebbe da considerarsi nel complesso perfettamente lecita, se non stroncasse prematuramente le radici di uno dei personaggi più complessi eppure più significativi nella vita di David: James Steerforth (Aneurin Barnard). Le sfaccettature e le trame subdole, che nel libro rapiscono — letteralmente — tutti coloro che cadono nella sua rete portando chi legge quasi all’esasperazione, non hanno spazio a sufficienza per nascere e crescere, e vengono imposte allo spettatore senza spiegazione di sorta. Quello di Steerforth è il caso più eclatante, ma non l’unico, in cui l’inserimento di un personaggio è funzionale agli intrecci della trama ma ne appiattisce l’impatto emotivo. Condivisibile invece la scelta di fondere Rosa Dartle e la signora Steerforth in un unico, carismatico personaggio, interpretato da Nikki Amuka-Bird.

Esente da appiattimenti la spettacolare coppia Betsey Trotwood – signor Dick (Hugh Laurie), tanto che dalla prima all’ultima inquadratura pare di vederli lì seduti accanto a noi a sfogliare il libro pagina per pagina, battuta dopo battuta. Entrambi portano avanti con fermezza le loro battaglie quotidiane: Betsey contro qualunque asino che calpesti il giardinetto del suo cottage a Dover e Dick che cerca di tenere lontani i pensieri affannosi che hanno deciso di ficcarglisi in testa dal giorno in cui Re Carlo I perse la sua. Il godimento del lettore più esigente si leva ad alta quota, ben al di sopra dell’aquilone del signor Dick.

Photo credit: Lionsgate UK

D’altra parte, in un film che punta i riflettori su quanto di comico c’è nell’ordinarietà della vita, questo incredibile duo non chiede modifiche, adattamenti o rimaneggiamenti di sorta e serve come portata principale una serie di incredibili dialoghi, perfettamente dickensiani in forma e contenuto. A questo punto ci si chiede solo quale sarebbe stato l’impatto se all’arrivo a casa di Betsey Trotwood — che coltiva ancora l’orticello del suo rancore per quella sorellina mai nata di David Copperfield — la presenza d’un povero bambino cencioso senza un tetto sulla testa avrebbe dipinto un quadro differente rispetto alla comparsa di uno sfrontato e già maturo Dev Patel.

Questa stessa sfrontatezza con cui non chiede ma pretende d’essere accolto dalla zia a lungo dimenticata, Patel se la porta dietro per tutto il racconto. L’insicurezza che rende così universale il personaggio di David quasi sparisce per dissolversi assieme alle sue paure che nel mondo non vi sia posto per lui. Tuttavia, su queste note il film amplifica la valenza autobiografica del racconto proponendoci un protagonista che ha esattamente la stessa energia vitale di un giovane Charles Dickens. Ci ricorda che l’essenza dell’animo umano non conosce barriere di tempo e spazio, che i giovanotti vittoriani erano pieni dello slancio adolescenziale mai catturato dalle foto giunte a noi, le quali anzi trasmettono in eredità null’altro che una sequenza infinita di volti austeri che nello sforzo di apparire superbamente unici, diventano piatti e inequivocabilmente simili.

E Dickens in particolare era proprio uno di quei giovanotti pieni di brio. La sua vita era energia. Era voglia d’azione, di movimento, di progresso, era ironia, divertimento, amore e furia. Di tutto questo Dev Patel traccia un ritratto autentico e scanzonato. A tal proposito, non va dimenticato che il titolo The personal history of David Copperfield non è un rimaneggiamento di Iannucci, ma il titolo originale del libro. L’ambiguità del termine “personal” è pertanto da leggersi nelle connessioni tra David e Dickens, non tra il libro e il regista, come si potrebbe pensare. Per la precisione, il titolo completo dell’opera, che Dickens vagliò tra altri insieme all’amico John Forster con uno scambio di lettere nel febbraio del 1849, è La storia, le avventure, le esperienze e le osservazioni personali di David Copperfield il giovane di Blunderstone Rookery (che egli non ebbe mai intenzione di pubblicare).

Tanto è personale il racconto di David che anche la fotografia nel film è la trasposizione dei suoi ricordi più intimi e come tale muta, si evolve, cambia colore e forma nel corso della storia mentre i personaggi saltano dentro e fuori da una scena all’altra con fantasiose proiezioni su pareti talvolta immaginarie.

E di personale ci sono anche il primo amore (con un piccolo cenno alla signorina Shepherd che solo i più attenti coglieranno), le risse col macellaio, le sbronze con gli amici e la passione per Dora che travolge ogni cosa.

Notoriamente basata su Maria Beadnell, la prima infatuazione di Dickens, Dora Spenlow è precisamente come Dickens ce la propone: sciocca eppure fedele, che si rintana in un angolino a reggere le penne al marito scrittore, lanciata in un’unione perfettamente male assortita e sorda a qualunque cosa che risulti incomprensibile al suo cagnolino Jip. Interpretata da Morfydd Clarke proprio come la giovane mamma di David, ci restituisce una lettura interessante e inedita di questa passione travolgente.

Quella tra Dora e David è però l’unica storia d’amore che convince. Agnes e David, Ham e Emily, Emily e Steerforth: le coppie chiave del racconto vengono presentate come fatto compiuto creando un intreccio che intrattiene ma che non poggia su una salda valenza emotiva. E nell’ultima mezz’ora del film lo spettatore si ritrova al centro di un ciclone mentre tutt’attorno si leva un turbinio di personaggi e trame. Fin troppo facile a questo punto perdere il segno del racconto e dimenticare alcuni passaggi chiave che il film dà per scontati.

Al centro dei — presunti — colpi di scena finali è il personaggio di Huriah Heep. Uno dei cattivi più odiati dell’intero universo dickensiano trova nuova linfa vitale con l’interpretazione di Ben Whishaw e svariati dialoghi originali che pure riescono bene a trasmetterne (“umilmente”, commenterebbe Huriah) l’essenza. Più iconico del personaggio di Huriah Heep è forse solo il signor Micawber, che porta le sembianze di Peter Capaldi, melodrammatico e grottesco, sempre in fuga dai suoi creditori, sempre in attesa che qualcosa “salti fuori”. Eppure un eccesso di humor lo appiattisce e ne annulla la valenza autobiografica.

È ormai universalmente riconosciuto che il signor Micawber rappresenti una versione romanzata di John Dickens, il padre di Dickens, che trascorse la vita tra prigioni e cambiali. Nel romanzo, Dickens sceglie di rappresentarlo come un pover’uomo ingenuo e sprovveduto, ma carico della sincera intenzione di appianare i suoi debiti e fiducioso che prima o poi i suoi migliori auspici si realizzeranno. E così accade: oltre a giocare un ruolo fondamentale nello smascheramento dei complotti di Huriah Heep, alla fine del libro Wilkins Micawber emigra in Australia, diventa magistrato e ripaga tutti i suoi debiti. Si tratta di una transizione dal valore fondamentale per Dickens che con Micawber riscatta le mancanze del povero padre. Nel film invece, non c’è migrazione, non c’è redenzione e Peter Capaldi intrattiene, sì, ma senza mai offrirci né speranza né ambizione.

“In breve”, come direbbe il signor Micawber, The personal history of David Copperfield legge tra le righe. Interpreta, gioca, rilegge il racconto e ne tira fuori un livello nuovo che ci riporta all’essenza della comicità dickensiana, estremizzandola. In questo riesce perfettamente nelle sue intenzioni, meritandosi l’esenzione da un processo per decretarne la fedeltà all’originale e rappresentando un must-see, sia per chi ha letto il libro sia per chi ha voglia di un viaggio nel tempo carico dell’energia del più grande dell’età vittoriana: Charles Dickens.

N.B. L’uscita del film era prevista in Italia per maggio 2020, ma è stata rinviata al 16 ottobre 2020 per via del coronavirus. Seguitemi su Facebook per tutti gli aggiornamenti.

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Sei sul blog di Laura Bartoli

Da anni studio, colleziono e traduco Charles Dickens. Sono una digital strategist appassionata di libri antichi e viaggio alla ricerca dei luoghi dove il tempo si è fermato all’età vittoriana. Clicca qui per conoscermi meglio!