Lo spettacolo sta per iniziare. Tutta Roma s’è riversata sulle tribune del Colosseo. L’eroe più acclamato di tutto l’Impero si scontrerà con il terribile Tigris delle Gallie e solo uno dei due ne uscirà vivo. I cancelli si spalancano, Massimo Decimo Meridio corre verso il centro dell’arena, poi si ferma. Lascia che la folla lo acclami per qualche secondo, poi si china a raccogliere un oggetto da terra. È pronto a scatenare l’inferno, ma prima ha un annuncio importante da fare: “Sono Massimo Decimo Meridio e questo è il mio olio d’oliva preferito”.
Quella che sembra la trama di un improbabile remake de Il gladiatore è in realtà – con qualche licenza poetica – una delle scene che il regista Ridley Scott decise di eliminare dal copione finale del film, convinto che sarebbe risultata un’assurdità agli occhi degli spettatori. Quel che sorprende è che si tratta invece di una vicenda del tutto verosimile alla spietata realtà dei giochi dell’antica Roma.
Le convenzioni morali della società di oggi rendono piuttosto improbabile – se non del tutto irragionevole – un parallelo tra una puntata di XFactor e le lotte all’ultimo sangue dei gladiatori nelle arene duemila anni fa, ma la logica alla base era la stessa: entrambi possono essere classificati come prodotti d’intrattenimento confezionati ad arte per garantire un impatto mediatico senza precedenti. Oggi li chiamiamo mass media, strumenti in grado di influenzare l’opinione del pubblico in modo tanto profondo da avere, talvolta, un impatto persino sullo scenario politico.
Ed è esattamente ciò che accadeva durante i giochi Romani.
Pensiamo per un attimo al Circo Massimo: alcuni documenti antichi raccontano che arrivò a contenere la cifra incredibile di 385.000 spettatori. Considerando che la popolazione totale di Roma era di circa un milione di persone, oltre un terzo degli adulti – coloro che detenevano il potere decisionale all’interno di ogni famiglia – si trovavano allo stesso tempo nello stesso posto, ad assistere allo stesso spettacolo. Nonostante il Colosseo o altre arene avessero una capienza minore, erano comunque in grado di ospitare per ogni evento un minimo che variava tra il 5 e il 10% della popolazione adulta di Roma. La finale dell’edizione 2017 di XFactor ha ottenuto uno share del 3,5%.
L’accesso al pubblico era completamente gratuito, il modello di business dei grandi eventi Romani era basato unicamente sulle sponsorizzazioni, talvolta da parte di aziende che intendevano promuovere i loro prodotti, ma più spesso da politici o personaggi di spicco fortemente interessati a creare o rafforzare la loro reputazione. Il costo sostenuto dallo sponsor era variabile, e per lo più legato alla tipologia di intrattenimento che decideva di offrire al pubblico. Se un gladiatore veniva ucciso nell’arena, l’addestratore (lanista) aveva il diritto di pretendere dallo sponsor del letale spettacolo una cifra fino a 100 volte più alta di quella richiesta per un gladiatore che rimaneva in vita. Per questo, paradossalmente, permettere l’uccisione di un gladiatore era visto come un atto di generosità nei confronti del popolo, atto che restituiva un notevole aumento della propria notorietà.
Tuttavia, lo sponsor non era l’unico a raccogliere i consensi del pubblico. I giochi Romani creavano delle vere e proprie celebrità, idoli acclamati dalle folle che improvvisamente ritrovavano il proprio volto protagonista di opere d’arte sparse per tutto l’Impero. Il gladiatore Scorpus, una star del I sec. DC, registrò ben 2.048 vittorie prima di compiere 27 anni. Il cocchiere Diocles vinse ben 1.462 volte in 24 anni di gare, guadagnando ben 35,8 milioni di sesterzi in totale, e 3 delle sue vittorie gli portarono ben 60.000 sesterzi ciascuna. Un soldato Romano professionista riceveva circa 1.200 sesterzi l’anno.
Non sorprende a questo punto che molti gladiatori non fossero in origine schiavi, ma uomini liberi che si candidavano volontariamente. L’incentivo primario era senz’altro l’anticipo che ricevevano già al momento del loro giuramento: soldi in cambio della promessa di sottomissione assoluta al proprio lanista, che includeva la possibilità di essere bruciato, fustigato, massacrato e ucciso.
Proprio come oggi le star del web vendono la propria immagine ad aziende e brand, nell’antica Roma i gladiatori cedevano la propria vita in cambio di soldi e notorietà. Una storia atroce, disumana e incredibilmente vera, che ci porta indietro nel tempo fino agli albori dell’influencer marketing, dove però bastava un solo pollice alzato a fare la differenza.