La fiera delle vanità di William Thackeray
Vanity Fair, conosciuto in italiano come La fiera delle vanità, o Fiera di vanità, è senza dubbio il romanzo più famoso di William Thackeray. Chi mi segue su Instagram saprà già che recentemente ne ho terminato la lettura –– di certo per un ammiratore di Dickens, avvicinarsi a Thackeray non è immediato: spesso accade che un solo palcoscenico risulti fin troppo striminzito per far spazio a due immensi personaggi, non ci stupisce quindi che tra i due non corresse propriamente buon sangue. Potremmo dire che il loro rapporto fosse in un certo senso espressione proprio di quel vanitas vanitatum –– “vanità delle vanità” –– che è il tema così ben passato al setaccio da Thackeray in Vanity Fair: agli occhi della società bisognava salvare le apparenze, ma nel profondo la natura snob di Thackeray infastidiva profondamente Dickens, che si trovò a deridere nella sua corrispondenza tutte quelle “fesserie” scritte per adulare Thackeray dai giornali dopo la sua morte (ho già dedicato un videoblog sulla lite tra i due al Garrick Club e potete recuperarlo cliccando qui).
Ma torniamo alla nostra Fiera di vanità. Caliamoci per un attimo nel contesto del tempo e riconosciamo la grande audacia dell’impresa: Thackeray ha davvero più di una parola buona (e spesso un po’ meno buona) per tutti, punta il dito contro ogni pilastro su cui si fonda l’alta società dei suoi anni e lo fa con un narratore a tratti neppure così onnisciente, con cui sembra avere il coraggio di esporsi e prendersi la responsabilità del suo giudizio virtuoso e inflessibile.
La fiera delle vanità: le scene tagliate
Eppure, sappiamo che ci fu un episodio che Thackeray ritenne fin troppo scomodo, persino per il mondo di fasti e perdizione in cui si muove Rebecca, a cui facilmente potremmo concedere il titolo di protagonista più crudele della letteratura inglese. Le modifiche, trapelate solo nel 1963, ci vengono raccontate all’interno di una ricerca di Myron Taube basata su alcuni manoscritti originali dell’autore custoditi presso la Morgan Library di New York.
Prima di procedere con la lettura dei passi eliminati dal romanzo, che ho tradotto per voi, occorre però fare un breve sunto per capire a che punto della storia ci troviamo: Amelia Sedley e Rebecca Sharp, già compagne di scuola, sono ormai in età da marito e pronte a crearsi la propria vita. Mentre Amelia attende con ansia la concreta possibilità di sposare il suo adorato George Osborne a cui è promessa sin dall’infanzia, Rebecca è accolta a Queen’s Crawley nella tenuta di Sir Pitt Crawley. Lontana dall’amica Amelia, non manca di tenerla informata con lunghe lettere che raccontano le stranezze del capofamiglia e gli intrighi della casa. Ed ecco che ci imbattiamo proprio qui nella prima sequenza tagliata da Thackeray (se avete il libro sotto mano, si collocherebbe come penultimo paragrafo della lettera che Rebecca scrive nel capitolo 8):
Quell’odiosa scortese creatura, col suo sguardo lascivo e le guance rosse e quel nastro grossolano sul cappello è la figlia di Horrocks e temo alquanto che Sit Pitt sia… ma shhh! Che cos’avrebbe Miss Pinkerton da dire su storielle del genere? Mia cara, le riserverò per Mrs George Osborne”
Questo breve passaggio, in apparenza insignificante, cela in realtà la presenza di un intrigo che avrebbe mutato l’intero svolgimento della trama: Rebecca fa riferimento, nella maniera più esplicita che il buon costume vittoriano avrebbe consentito, a una liaison segreta tra Sir Pitt e la suddetta Miss Horrock. C’è una ragione ben precisa per cui Thackeray decise di rimuoverla: alla morte della moglie, questo legame avrebbe portato naturalmente Sir Pitt a chiedere la mano di Miss Horrock e non di Rebecca, evitando così l’effetto domino di catastrofiche conseguenze che avrebbero creato le solide fondamenta su cui oggi si regge il resto dell’impalcatura del romanzo.
È importante ricordare che, come la gran parte dei romanzi di Dickens, anche Vanity Fair di Thackeray fu pubblicato a puntate e l’autore, che andava avanti progressivamente con lo sviluppo del racconto, si trovava a lavorare con un’idea fluida che facilmente, nell’arco dei due anni che lo tenevano impegnato, poteva sfuggirgli di mano. Accadde anche a Wilkie Collins con La donna in bianco, ve ne parlo nel videoblog dedicato al romanzo che potete trovare cliccando qui.
Arrivato a revisionare il capitolo 10, sempre seguendo il ragionamento di cui sopra, Thackeray rimosse un paragrafo notevolmente più corposo per eliminare riferimenti ancora più diretti alla relazione segreta tra Sir Pitt Crawley e Miss Horrock. Si noti che qui l’autore utilizza alternativamente i nomi Sarah e Martha, non avendo ancora deciso quale affibbiare alla ragazza.
Si è già fatto riferimento a una tale cameriera dalle guance rosse e al suo assai elegante nastro sul cappello, figlia del maggiordomo Mr Horrocks, che aveva preso in antipatia Miss Sharp sin dal suo arrivo a Queen’s Crawley e che non si fece alcuno scrupolo (essendo una ragazza spigliata alla quale, per qualche ragione, era concessa ogni qualsivoglia libertà di parola o d’azione) a dichiarare la propria ostilità. Nei confronti di Sarah Horrock, la condotta di Rebecca era, d’altro canto, estremamente conciliante e ben lontana dallo sfoggiare qualsiasi segno d’antipatia. Sopportava la sua gelosia con buon umore, e sebbene non si potesse certo dire che fosse di natura generosa o magnanima, tentò di calmare la rabbia di lei con regali e parole gentili. O Sarah diceva, come mi piacerebbe d’aver quei vostri capelli corvini e come mi donerebbero quei vostri nastri! Le regalò addirittura un colletto ricamato a mano, una sottoveste di raso e una collana di corallo, tutti, per inciso, ricevuti in dono da Miss Sedley. Lady Crawley non poteva, come diceva, proprio tollerare quella Sarah. Rebecca, durante le sue conversazioni con la giovane donna, non si prendeva mai il cruccio di celare il suo disprezzo per sua Signoria e quante risate condivisero a farle il verso! Era davvero curioso come alcune delle battute di Rebecca circa Lady Crawley (basate per lo più sulla professione del padre che era un venditore di ferramenta) udite solo da Martha, si facessero strada sino all’orecchio di Sir Pitt che amava scherzare e le accoglieva con giovialità. Accadde poi che una sera, mentre camminava da sola nel Parco, Miss Sharp sorprese Miss Martha impegnata a conversare con Mr Stock il custode, e da quel giorno le due ragazze andarono d’amore e d’accordo, o almeno a tutti così apparve.
Chissà che a Thackeray non sia dispiaciuto dover rinunciare a inserire l’ennesimo, dirompente e trasgressivo, atto di vanità, di piacere carnale, celato dietro le imposte della facciata di un’impeccabile dimora nobiliare.
FONTI
- Traduzioni dei passaggi inediti: Laura Bartoli
- Myron Taube, Thackeray at Work: The Significance of Two Deletions from Vanity Fair. Nineteenth-Century Fiction, Vol. 18, No. 3 (Dec., 1963), pp. 273-279