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Medioevo: quando la redenzione diventa un’impresa

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Per fatturato è al 15esimo posto delle potenze mondiali, superando il PIL complessivo di ben 180 paesi. Le sue entrate annuali sono maggiori della somma di quelle delle 10 più grandi tech companies del mondo, tra cui Apple, Amazon e Google. Oggi la Chiesa cattolica vanta una storia lunga più di 2.000 anni e un business che non teme competitor.

Alla fine dell’Alto Medioevo la cristianizzazione dell’Europa era terminata e la Chiesa aveva già affermato la sua superiorità economica e spirituale. In una società composta quasi completamente di analfabeti, i chierici rappresentavano gli unici depositari della cultura, e gli unici a cui spettava il dovere – e il potere – di diffondere il sapere. Tutt’oggi li chiamiamo “chierici” poiché in inglese un clerk è un impiegato: i clerici nel medioevo si dedicavano alla studio e alla stesura di testi di scienze classiche e religiose.

E la chiesa sapeva bene che i chierici erano un’élite, e come tale andava preservata.

Seppur personale operativo infatti, questi “impiegati della chiesa” non si mischiavano alle masse: a contatto col popolo era la fascia più bassa del clero, quella più scarsamente istruita, spesso del tutto analfabeta, in grado di trasmettere al popolo degli insegnamenti sommari e distorti della fede e del mondo.

Complici le dinamiche culturali e le imposizioni dei re che si susseguirono nei secoli, si diffuse la percezione della religione non come una credenza spirituale, ma come un modo di vedere il realtà, null’altro quindi che una modalità di interpretazione degli eventi del mondo e della vita quotidiana. In questo contesto la preghiera iniziò ad essere percepita come un vero e proprio contratto con Dio: si creò quindi un mercato immaginario che costringeva letteralmente Dio a salvare chi pagava per la propria redenzione.

E qui la Chiesa riconobbe la più grande delle opportunità per rendere ancor più salda la propria superiorità economica ed essere così in grado di adempiere al dovere di tutelare l’ordine romano di fronte al caos barbarico. Inserì così i propri monaci come dei moderni broker all’interno di un mercato di speculazione che da spirituale diventava economica.

Nonostante la regola benedettina prevedesse l’osservanza della povertà individuale, o meglio l’astensione da qualsiasi genere di proprietà personale, diversi monaci ricevevano addirittura un cospicuo stipendio, ma i loro abiti rimanevano coerenti con il loro posizionamento: le stoffe consentite erano di colori naturali, fatte di lana non tinta, massima espressione di quella povertà che il popolo si aspettava da loro. I monasteri nel complesso però potevano – e dovevano – costruire un patrimonio economico su cui continuare a fondare la supremazia ecclesiastica all’interno della società.

E poiché non c’è mercato senza regole, furono redatti i Libri Penitenziali, dei veri e propri manuali, cataloghi dettagliati di colpe da confessare, ognuno con la corrispondente tariffa penitenziale. La tariffa non era un vera tassa da pagare al sacerdote, ma la pena da scontare per espiare la colpa commessa. Questa tassa si traduceva in mortificazioni più o meno dure, tra cui l’elemosina e il digiuno.

Ma quindi dov’era il guadagno della Chiesa?

Semplice, il “tariffario” era pensato in modo che nella maggior parte dei casi una vita intera non bastasse a scontare tutte le pene previste per la redenzione. Non restava quindi altro che commutare la propria pena in una somma da pagare; una volta saldata la tassa, il perdono divino era garantito.

L’unico peccato che, il più delle volte, non era espiabile tramite la commutazione in denaro era l’omicidio. La morte era infatti l’unico limite che la strategia della Chiesa sembrava non riuscire a scavalcare. Finché non si iniziò a parlare del Purgatorio.

Secondo lo storico Jacques Le Goff, il Purgatorio non fu che un’invenzione della Chiesa risalente al periodo tra il XII e XIII secolo per aumentare il proprio potere sulle coscienze degli uomini e sui loro soldi:

Secondo la dottrina tradizionale, gli uomini da vivi rispondevano al tribunale della Chiesa, una volta morti però erano giudicati solamente dal tribunale di Dio. Con il Purgatorio si crea una sorta di tribunale comune in cui intervengono sia Dio che la Chiesa. Le anime che vi transitano, infatti, continuano a dipendere da Dio, ma beneficiano anche dell’azione della Chiesa che distribuisce le indulgenze. Il Purgatorio, dunque, ha rinforzato il potere della struttura ecclesiastica, che così, oltre che dei vivi, è responsabile in parte anche dei morti. […] Perfino per gli usurai, che fino ad allora erano irrimediabilmente condannati all’Inferno, inizia a profilarsi un aldilà meno cupo. Naturalmente vivere con tale speranza modifica radicalmente la prospettiva della vita quotidiana.

Col Purgatorio quindi la Chiesa si apriva una nuova opportunità di business: non si comprava più solo la redenzione delle penitenze, ma anche lo sconto per la propria anima.

Un modello di business, quello della Chiesa, insieme antico e moderno, che ancora oggi trasforma e plasma la società ed evolve con essa. Una strategia che nei secoli si è appoggiata a numerose personalità – dei veri e propri brand ambassador – tanto influenti da sopravvivere nei secoli.

Una delle tante fu San Francesco d’Assisi.

Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

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Sei sul blog di Laura Bartoli

Da anni studio, colleziono e traduco Charles Dickens. Sono una digital strategist appassionata di libri antichi e viaggio alla ricerca dei luoghi dove il tempo si è fermato all’età vittoriana. Clicca qui per conoscermi meglio!