Questo articolo è stato scritto da un autore esterno, Luca Gandolfi: Appassionato di lettere, classicità e archeologia, è dal 2014 insegnante di Letteratura Inglese e Francese presso il Circolo Filologico Milanese e da oltre 20 anni tiene seminari dedicati a scrittori europei e americani. Ha pubblicato per la Hemingway Society e collaborato a diversi progetti letterari, tra cui la recente traduzione di Domestic manners of the Americans, di Frances Trollope.
Anthony Trollope fa senz’altro parte del terzetto dei principali autori vittoriani, insieme a Dickens e Thackeray. Tanto ha incarnato l’essenza del realismo narrativo inglese, che qualcuno si è spinto addirittura a dire che, a suo confronto, Balzac era un romantico. Da qui l’idea di avviare una serie di articoli dedicati sia a Anthony che alla madre, Frances Trollope, anch’essa una delle autrici più amate dal pubblico e dalla critica nella prima metà dell’800. Inauguriamo quindi la nuova rubrica con un’intervista a Rossella Cazzullo, traduttrice di Anthony Trollope per Sellerio.
Ciao Rossella, ci vuoi parlare un po’ di te?
Ciao Luca. Non c’è molto da dire, in effetti; vivo con un uomo e un gatto, la letteratura inglese è la mia passione e sono un’avida lettrice.
Com’è iniziata la tua vita di traduttrice?
Credo sia cominciata proprio con la scoperta di Anthony Trollope. Mi stavo preparando per un concorso e mi è capitato di leggere un testo molto bello – The English Novel di Walter Allen – che offre una breve ma perspicace panoramica sul romanzo inglese, e lì per la prima volta mi sono imbattuta in questo autore che all’università non avevo mai studiato. Ho iniziato a leggere i romanzi del Ciclo del Barset ed è stato un colpo di fulmine. In seguito mi sono accorta che tradotto in italiano di Trollope vi era pochissimo e, visto che attraversavo una fase di particolare insoddisfazione lavorativa, nel tempo libero ho tradotto Framley Parsonage (La canonica di Framley), uno dei miei romanzi preferiti di questo scrittore. Una volta ultimata la traduzione ho provato a proporla a varie case editrici e dopo un paio d’anni, quando non ci speravo più, Sellerio Editore l’ha pubblicata; la casa editrice palermitana aveva già cominciato il lavoro di divulgazione trollopiana ed era molto interessata all’autore.
Sei la voce italiana ufficiale di Anthony Trollope, il maggior romanziere vittoriano con Dickens e Thackeray. Come ti sei sentita di fronte a questa opportunità?
No, no, per carità! Non parlerei davvero di voce ufficiale; le persone che si occupano di Anthony Trollope sono molte nel nostro paese, è un contributo polifonico. Ma l’opportunità di potermi dedicare a un autore che amo e di darmi ‘all’archeologia letteraria’, facendo emergere il sommerso, è stata un’enorme gioia; mi ritengo proprio fortunata. Il lavoro del traduttore, poi, mi pare bellissimo, perché offre a chi traduce il ruolo di mediatore tra creatore e fruitori, anello di congiunzione tra lo scrittore e i lettori.
Continuiamo a parlare della voce di Trollope, che personalmente trovo molto diversa da quelle degli altri due autori citati prima. Vuoi parlarci delle peculiarità del suo stile e del suo linguaggio?
Sì, anche a me pare che la voce di Trollope sia molto diversa da quella dei due grandi contemporanei (nonostante tutto quel che Trollope ha in comune con loro), ma d’altronde ogni vero scrittore sviluppa una voce propria. Quella di Trollope suona forte e solida, la voce del buon senso, del saper vivere, della concretezza, del quotidiano, a cui però si uniscono inflessioni di romanticismo sovversivo e di scelte intransigenti che scardinano le premesse pragmatiche. Una bella voce, direi, dal linguaggio ricco e vario intessuto di rimandi letterari e accenni alla mitologia e alla storia antica, e con un narratore amichevole che prende sottobraccio il lettore come una vecchia conoscenza.
Questo cosa ha implicato nel lavoro di traduzione?
La necessità di imparare ad ascoltare la voce dell’autore, a riconoscerla e a impossessarsene fin dove possibile: un lavoro di mimesi per essere fedeli allo scrittore e al suo tempo che ha comportato godibili letture sul periodo Vittoriano.
Quanto, traducendo, si entra in sintonia con un autore?
Penso che si vada naturalmente sviluppando un rapporto strettissimo. Davanti a piccoli eventi quotidiani mi capita spesso di chiedermi “Che ne avrebbe detto Trollope? Che ne avrebbe pensato?”. Le tante ore trascorse insieme portano a quella vicinanza che si sviluppa con gli amici più cari, oserei dire.
Che idea ti sei fatta di Anthony Trollope come persona e, dopo tanti romanzi tradotti, come lo vivi?
Lo vedo come un uomo arguto e spiritoso; un uomo con molto senso dell’umorismo e grande capacità di osservazione; lucido nell’analisi delle situazioni e con una profonda e ampia conoscenza della società dei suoi giorni, delle dinamiche familiari e interpersonali; un uomo amante della buona compagnia e della buona tavola, lavoratore metodico e assiduo, che crede nell’amore ed è consapevole del valore delle cose importanti. Senza troppe illusioni, ma con delle speranze.
Ci dici qualcosa dell’Inghilterra raccontata da Trollope nei suoi romanzi?
L’Inghilterra di Trollope è quella di Londra, della sfavillante stagione mondana con il susseguirsi vorticoso di balli, cene e intrattenimenti di ogni sorta, delle signore del bel mondo che si cambiano d’abito più e più volte al giorno, del mercato matrimoniale, della vita politica con tutte le possibili beghe. Trollope ci porta nella città che è il centro del mondo, la città veloce con i treni e le stazioni, la città della ricchezza; ma al di fuori del cerchio magico dell’alta società abbiamo modo di vedere anche l’altra faccia della metropoli, quella dura e implacabile, che stritola chi non riesce a tenersi a galla, dove si infrangono tanti sogni e belle speranze. L’Inghilterra di Trollope, però, non si limita certo a Londra ma comprende la provincia e le aree rurali, da quelle realmente esistenti alla contea del Barset, frutto della fantasia dell’autore, ma non per questo meno britannicamente autentica. Nel Barset tutto rallenta, non mancano i raduni mondani nelle grandi dimore di campagna né le aspre rivalità, ma la vita ha ben altro passo e il tessuto sociale sembra garantire maggiore attenzione agli aspetti non meramente materiali dell’esistere.
Cosa attrae verso Trollope tanti lettori italiani?
Gli amanti dei classici trovano nei romanzi di Trollope pane per i loro denti e, forse, il fatto che questo autore di classici sia arrivato in Italia con un notevole ritardo rispetto a molti altri scrittori già ampiamente noti rende i suoi libri invitanti in modo particolare per i lettori Italiani, al pari di una scoperta inaspettata.
Quali sono i tuoi rapporti con la Trollope Society e con i Trollopeans sparsi nel mondo?
Faccio parte di un gruppo Facebook – Anthony Trollope Society – che raccoglie trollopiani di tutto il mondo, organizza reading, pubblica articoli e offre stimolanti occasioni di confronto.
Pensi si possa creare una Trollope Society italiana?
È una bellissima idea e non vedo ragione perché non si possa realizzare.
Ringraziamo Rossella per la sua disponibilità e vi diamo appuntamento al prossimo articolo per proseguire insieme questo viaggio alla riscoperta di Anthony e Frances Trollope.
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